martedì 11 febbraio 2014

Un Angelo caduto in volo

Dài Carolina, fammi scendere. Piano piano, sì, stai tranquilla, non mi faccio male! Scendo dalla macchina lentamente, prima con le zampe davanti e poi, con un piccolo scatto, faccio seguire quelle dietro. La mia umana ha sempre timore che io possa urtare il muso o inciampare, così per non preoccuparla mi muovo con cautela. Siamo al parco, pronti a farci una lunga passeggiata in libertà, perché la Caro non mi mette il guinzaglio anche se sono grosso e bianco - e visto da lontano sembro un orso polare.
L'erba fresca sotto le zampe è una delizia, l'aria è pulita e un vento lieve mi porta decine di odori buoni. Annuso e alzo il muso verso il cielo per godermi questo momento. Ho imparato ad usare bene il naso per capire dove sono, visto che i miei occhi non funzionano più come prima, da quel giorno di un anno fa...

Quel giorno - non avevo neanche un anno - qualcuno mi prese, mi legò, mi tagliò le orecchie con un coltellaccio, poi mi versò sul muso del liquido che puzzava e mi diede fuoco.
Mi lasciò moribondo sul ciglio della strada. Io non vedevo e non sentivo più niente, né luci, né rumori, né odori, né dolore. Pensavo di essere morto, ma mi dicevo che se fossi stato morto non avrei potuto pensare.
Mi raccolse Carolina, che passava per quella strada in motorino e mi vide in terra, uno straccio di cane immobile e sanguinante, con le mucose degli occhi gonfie a chiudere la pupilla, le orecchie straziate, il naso ustionato fino a mostrare l'osso.
"Angelo… povero angelo" sussurrava, mentre chiamava un'amica al telefono per chiedere aiuto.
Quando mi svegliai, ero in un posto caldo e silenzioso. Casa di Carolina. Io ero sdraiato su un materassino pulito e soffice, lei era seduta in terra vicino a me. Ogni movimento mi procurava una scossa di dolore, ma capivo di essere vivo e al sicuro. "Ti chiamerò Angelo, ti piace?" diceva Carolina appoggiando la sua mano sulla mia zampa collegata a un tubicino con una bottiglietta attaccata in alto. "Finiamo questa flebo e poi torni a dormire. Ti hanno fatto una anestesia da elefante per poterti medicare, Angelo mio". Richiusi gli occhi gonfi e caddi in un sonno profondo, durante il quale sognai di scavare sulle nuvole cercando un posto dove nascondere un enorme osso.

E' passato un anno, le mie orecchie sono un informe zig zag di cartilagine ma non m'importa, gli occhi sembrano quelli di uno allergico ai pollini, il naso è una specie di macchia bianca e violetta, però sto bene. Sento che Carolina mi guarda dolcemente mentre racconta la mia storia ad una persona: "Si chiama Angelo perché solo un angelo poteva sopravvivere a quello che gli hanno fatto". Percepisco la sua dolcezza perché il cuore degli umani, quando prova questo sentimento, manda un profumo particolare. E molto raro.

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